di Isabella Michetti
Nel 2014 Palazzo Strozzi celebrava due tra i maggiori esponenti della maniera moderna, Pontormo e Rosso Fiorentino, e le “divergenti vie” dell’arte del Cinquecento, con una esposizione che ha raccolto a Firenze i loro capolavori più grandi. Per l’occasione, 20 chef di fama internazionale sono giunti a Palazzo Strozzi dai loro ristoranti in Toscana, insieme a un religioso della Certosa di Firenze, per prestarsi all’obiettivo del fotografo internazionale James O’ Mara. Un servizio fotografico d’eccezione svoltosi sfondo di opere estremamente contemporanee (nelle parole di James M. Bradburne, allora Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi), sia per la tavolozza stravagante che rese Pontormo pioniere di un nuovo linguaggio del colore, sia per l’apertura alle influenze straniere. I ritratti, inframezzati da ricchi primi piani degli ingredienti, compongono il progetto editoriale La tavola del Pontormo, un libro di cucina in forma di catalogo d’arte che raccoglie una ricetta originale per ciascuno dei professionisti coinvolti. Lo spunto del volume e di ogni singola pietanza è offerto da un diario privato del Pontormo, risalente agli ultimi anni di vita (1554-1556) e conservato, come rammenta la storica dell’arte Ludovica Sebregondi in Pontormo uomo e artista, in un manoscritto miscellaneo alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Qui il pittore prediletto dai Medici appuntava con meticolosa solerzia i pasti consumati, semplici nell’esecuzione e pensati per garantire energia e nutrimento. Una memoria autobiografica, personale, certo non destinata a essere letta da altri: un singolare quadro di vita quotidiana. Del resto, nulla più delle abitudini a tavola racconta della vita culturale di un popolo – nulla fuorché l’arte. Si trattò solo di uno dei sintomi dell’indole eccentrica dell’artista, del suo carattere schivo e lunatico – confermato dalla narrazione del Vasari. Riservato nel lavoro almeno quanto avvezzo all’ospitalità a tavola: non si contano i riferimenti ai commensali abituali, ad esempio all’allievo favorito, il Bronzino, che tante pietanze condivise con il maestro. “Adì 24 desinai con Bronzino, che v’era la madre de la Maria che mi promise uno pane di ramerino bello”. Questa sorta di “appunti alimentari”, contenenti anche schizzi e disegni di affreschi, portano l’attenzione verso la convenienza di un ritorno a ingredienti semplici e del territorio. La frugalità e la misura della dieta, così come l’attenzione al sapore del singolo ingrediente, ricordano le indicazioni pressoché univoche dell’odierna scienza nutrizionale. Una morigeratezza che era, in generale, prerogativa della Firenze del 1500: il Varchi, in un passo citato dalla giornalista Annamaria Tossani nel saggio La cucina del Pontormo, definiva non a caso il vitto dei fiorentini “semplice e parco”. Così, dagli appunti del Pontormo traspaiono la predilezione per le uova, per le primizie dell’orto personale, la dedizione al digiuno come dieta terapeutica, la parsimonia, la premura di evitare ogni spreco. Contemporaneo nell’esecuzione dei dipinti e altrettanto, mutatis mutandis, nel gusto. Ne risulta un ricettario per immagini (edito anche in lingua inglese) da assaporare di gola prima ancora che di testa – come si conviene alla degustazione delle leccornie, o alla contemplazione dei capolavori.
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